venerdì 11 luglio 2008



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Richard Gere ha detto...

ITNERARIO ALLA SCOPERTA DELLE TERRE PIEMONTESI





Vigneti, noccioleti e boschi. Ma anche castelli, torri e borghi medievali. E poi i cortili delle cascine che riportano alle veglie contadine e le piazze assolate. Dove sembrano ancora riecheggiare i giochi e le feste popolari. Le Langhe e il Roero si svelano al visitatore. Territori dai mille volti. Ciascuno dei quali è depositario di storia e tradizioni.



Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome sono ambizioso, volevo girare per tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi a dire in presenza di tutti "non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là". Con queste parole Cesare Pavese ricorda Santo Stefano Belbo nelle Langhe cuneesi in cui è nato nel 1908. E anche se soleva dire "un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via", le Langhe restano una terra affascinante. Che riserva molte sorprese a chi ha il piacere di soggiornarvi, avvolgendone i sensi. Colline degradanti ricoperte da vigneti che paiono immensi se ci si ferma a osservarli dai tornanti che salgono su fino ai castelli e ai borghi che dominano l'orizzonte. Le Langhe e il Roero racchiudono un patrimonio inestimabile, un paesaggio fortemente caratterizzato dalla presenza della vite, una cultura che ha plasmato le colline e che offre agli occhi dei visitatori accostamenti cromatici spettacolari che variano con il susseguirsi dei mesi e il cambiare delle stagioni.



Il nostro viaggio tra Langhe e Roero seguirà idealmente la Strada Romantica realizzata dalla Gal Langhe e Roero: undici tappe che rivelano al viaggiatore lo straordinario paesaggio naturale e umano di questa terra. Dal Roero all'Alta Langa, attraversando la Langa del Barbaresco prima e quella del Barolo poi, questa strada porta i visitatori nei luoghi più suggestivi del territorio, invitandolo a leggere il paesaggio che lo circonda e suggerendo gli aspetti della cultura e della tradizione che ne hanno modificato il carattere. Una vera e propria interpretazione emotiva del territorio che toccherà i più affascinanti belvedere della zona. La prima di queste tappe è la rocca che domina Vezza d'Alba da cui si può godere una vista di 360 gradi sulle colline del Roero e sui suoi paesi, sui boschi e filari di viti. A Magliano Alfieri è consigliata una sosta al Castello e alla chiesa di Sant'Andrea. Se vi soffermate sul sagrato potete ammirare la valle del Tanaro, i primi rilievi delle Langhe, e, sulla destra, l'abitato di Alba. Colline, viti, boschi, borghi e castelli e poi, il fiume, il Tanaro tanto caro a Giuseppe Fenoglio, che attraversa Alba, la città delle cento torri e dal profumo di tartufo e che rappresenta lo spartiacque naturale tra Langhe e Roero.



Sembra che il cuore della gastronomia piemontese sia da ricercare proprio sulle colline che, tra settembre e dicembre, si arricchiscono dei famosi tartufi bianchi. "Cercatelo con i vostri tabui sotto le placide quercie o sotto gli antichi olmi, esplorate attorno ai solenni salici o fra la dirompente robinia: quando apparirà al vostro sguardo dal cuore della terra in tutta la sua sovranità, non potete che rimanerne conquistate". Queste parole si possono leggere sul sito dell'Unione delle Associazioni trifulau piemontesi, che sostiene l'attività dei "cercatori di tartufo" salvaguardando il mondo della trifola che da anni raccoglie attorno a sè atmosfere, leggende, fantasie. Sì, perchè la storia del tartufo ha origini antiche e ricca di sorprese.



La genesi ci narra di Giacobbe come un gustatore di "dudaims" e i greci ci hanno lasciato il termine ydnon da cui deriva quello di idnologia, la scienza dei tartufi. Plutarco lo definiva "un connubio tra pioggia, calore e terra" mentre secondo Plinio era "un vero miracolo della natura". La sua fortuna ovviamente è in parte dovuta alle presunte proprietà afrodisiache, ragione per cui il tartufo viene dedicato ad Afrodite, la dea dell'amore. Se nel Medioevo il tartufo viene estromesso dalla cultura ufficiale, sopravvivendo solo nelle tradizioni popolari, nel Settecento fu finalmente riscoperto. E ancora oggi, quando l'autunno diffonde nell'aria i suoi profumi e ci mostra i suoi caldi colori. Alba indossa il suo abito più bello per accogliere coloro che amano il nobile tubero. Ogni anno infatti la cittadina ospita la Fiera del Tartufo Bianco. Nata nel 1929 come Fiera mostra campoinaria a premi dei rinomati Tartufi delle Langhe, è inserita a tutti gli effetti nei festeggiamenti della Festa Vendemmiale. I tartufi, che normalmente si vendevano a 120 o 150 lire al chilogrammo, nel sabato di fiera potevano raggiungere anche le 200 lire. Sospesa durante la guerra, venne riproposta nel 1945 come testimonianza del desiderio degli Albesi di riprendere e di riscoprire le antiche tradizioni. A quel punto il prezzo del tartufo aveva raggiunto le 3000 lire al chilogrammo. Oggi è un evento internazionale che vede sfilare oltre all'ormai celeberrimo Tuber Magnatum Pico, anche i grandi vini, i salumi e i formaggi tipici. Letteratura e gastronomia, ecco due modi per accostarsi a queste terre.



Seguendo il percorso che Cesare Pavese racconta ne "La Luna e i falò", in "Paesi tuoi" o ne "I mari del sud" è possibile compiere un vero e proprio viggio letterario. "Sentivo tra i peschi arrivare il treno e riempire la vallata" dice Pavese e ancora oggi il profumo dei peschi di Santo Stefano Belbo si spande nella vallata. La prima Fiera del Pesco si tenne proprio in quel 1908 in cui nasceva Pavese, una fiera che era l'espressione di una comunità che attraverso l'innovativa cultura della pesca cercava di migliorare la propria condizione economica e sociale. Oggi il pesco roerino è un presidio tutelato da Slow Food. Il nostro viaggio tra Langhe e Roero può poi continuare fino all'antico borgo di Neive, in provincia di Cuneo, uno dei borghi più belli d'Italia per merito delle sue incantevoli dimore storiche. Il centro storico presente un impianto medievale con le caratteristiche case dai tetti rossi che si affacciano sui vicoli e addossate l'una alle altre. Il nome di questa cittadina viene legato a quello del suo parroco, don Giuseppe Cogno, che nel 1961 fondò la Cantina del Parroco di Neive.



Era nato a Novello, vicino a Barolo, e nelle sue vene scorreva il tenace sangue del langarolo. Negli anni sessanta fu nominato parroco della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Neive dove, per convincere i giovani del paese a restare a lavorare la terra invece che emigrare verso Torino, non esitò ad utilizzare le vigne della parrocchia. E' anche grazie all'opera di questo intraprendente prete, infatti, il quale arrivò a produrre fino a 90 mila bottiglie l'anno tra Barbaresco, Dolcetto e Barbera, se Neive è oggi uno dei luoghi di elezione del Barbaresco. La Cantina San Michele, erede diretta di quella fondata da Cogno, ne persegue gli obiettivi: le ridotte produzioni per ettaro, la particolare collocazione dei vigneti, le tecniche di coltivazione e di vinificazione aggiornate al progresso tecnologico ma sempre nel rispetto della tradizione. E' solo in questo modo che vengono garantite salubrità ed eccellenza dei vini. Su ogni borgo di Langhe e Roero veglia un castello. Dalla sommità delle colline gli antichi manieri raccontano la storia di questa terra e delle famiglie di cui portano il nome: Falletti, Roero, Alfieri. O narrano ancora le leggende di cui sono stati protagonisti.



Come il Castello della Volta di Barolo o quello di Pruneto, circondati da un'aura di mistero e di tradizioni popolari. Il Castello di La Volta, visibile sin dalla piana di Alba che da quella di Narzole, si trova sulla cima della dorsale che conduce da Novello a La Morra. Dal Castello si gode un panorama di una bellezza solo leggermente inferiore a quello del famoso belvedere di La Morra. Da una parte, il mare collinoso dell'astigiano, dell'Alto Monferrato e delle Langhe e dall'altro, la valle del Tanaro e l'altipiano che si estende da Mondovì a Cuneo, sotto l'imponente cerchia delle Alpi Marittime e Cozie. Secondo alcune memorie, conservate nell'archivio storico di Casa Barolo, durante le guerre tra Francesco I re di Francia e Carlo V imperatore di Spagna, i francesi occuparono queste terre considerandole come imperiali e ordinarono la distruzione dei castelli di La Morra, L a Volta e Barolo, tutti di proprietà dei Falletti. Proprio Scipione Falletti, che si trovava in Francia tra il 1510 e il 1520, riuscì a far sospendere la demolizione. Purtroppo questo suo intervento non riuscì a salvare il Castello dalle distruzioni delle guerre successive. Treiso era con ogni probabilità il punto in cui era stata posta la pietra del terzo miglio della strada romana Magistra Langarum che da Alba Pompeia conduceva nella Provenza francese. Intorno a Treiso sorgono diverse cappelle campestri e monumenti, tra cui quello dedicato ai caduti in ricordo degli eroi della Resistenza.



Una delle leggende legate al borgo di Treiso narra di sette fratelli blasfemi che, colpiti dall'ira divina, sprofondarono nelle gole naturali del territorio. Oggi queste zone, chiamate appunto gole delle Rocche dei Sette Fratelli, si possono ammirare ancora. Su queste colline sono state scritte intere pagine di storia d'Italia.



Beppe Fenoglio, narratore, partigiano e testimono di quegli anni, definì Treiso "un paese per vivere in pace" in contrasto con il dolore che trasudava dalle pagine dei suoi romanzi. Oggi su queste colline, in autunno, si vendemmia il Nebbiolo da Barbaresco, da cui nasce l'omonimo vino. Quasi al confine tra Langhe e Monferrato, Trezzo Tinella è un piccolo borgo circondato dai boschi. Dal Boscasso sembra di essere sul tetto del mondo. Da lì si possono vedere le montagne che si rincorrono tra la Valle d'Aosta e la Liguria. In queste terre le tradizioni contadine e la necessità di commercio hanno creato certe figure che sono ormai entrate nella leggenda, come i cadreghé, costruttori artigianali di sedie, e i cartuné, carrettieri. Il loro andare di cascina in cascina per portare prodotti e notizie da altre città alimentavano scambi e leggende. La narrazione era un bene prezioso nelle veglie che, dopo il tramonto, trasformavano le cascine in veri e propri teatri improvvisati. Benevello, Bossolasco e Murazzano si trovano vicino allo spartiacque tra il bacino orografico del Belbo, a sinistra, e del Cherasca. Qui si possono distinguere i versanti a franapoggio, con pendenze più dolci ed esposti a nord-ovest, che ospitano seminativi, cascine e coltivi, da versanti a reggipoggio, esposti a sud-est e coperti di vegetazione.



Nello semisferio di Benevello è tuttora praticato lo sport tradizionale delle genti della Langa e dell'entroterra ligure, il "balon", o pallone elastico, descritto da Pavese, Fenoglio e Arpino con maestria.



Benevello segna l'ingresso nell'alta langa, il belevedere naturale sul territorio circostante. Qui le colline sono ricoperte da boschi rigogliosi con cui gli uomini della Langa hanno instaurato un legame forte, reso indispensabile da un'economia semplice e indissolubile grazie al rispetto per la natura. Al centro del paese si trova un castello, risalente al 1100 che, ancora oggi, costituisce il cuore del centro storico. Stiamo per entrare nella terra del Dolcetto e del Barolo, tra colline e vigneti, dove regnano armonia e quiete. E' qui che sorge Sinio, antico borgo di origine medievale con un concentrico a forma di scudo araldico, una struttura non particolarmente diffusa nelle Langhe. Sinio è dominato dal castello, sorto sulle rovine di quello precedente andato distrutto per volere degli Sforza nel 1413 e risorto grazie alla famiglia Del Carretto. A Sinio il 14 agosto rivive la tradizionale "Notte delle Masche" con le fattucchiere, ritenute responsabili dei sortilegi e degli avvenimenti terribili che popolavano i racconti dei vecchi del paese, e gli incubi dei più piccoli. Cissone, borgo che domina la vallata selvaggia e ricoperta di boschi scavata dal torrente Riavolo, sembra avere origini romane. La conferma arriva dal ritrovamento della stele funeraria che oggi è conservata nel Municipio. Spostandosi da Cissone verso Serravalle Langhe è possibile vedere il classico paesaggio "a mosaico" della Langa originaria: in uno spazio ristretto convivono mais e grano, noccioli, pascoli, boschi e qualche vigna.



Bossolasco, la "perla delle langhe" nonchè "Paese delle rose", merita senz'altro una sosta. Crocevia per Dogliani, il paese ha origini antichissime. Nel 173 a.C. venne promossa da parte del console Pompilio Lenate una sanguinosa campagna punitiva nei confronti dei Langharoli, rei di non rispettare il potere di Roma. I superstiti trovano rifugio presso il Belbo, a pochi chilometri dalla sorgente, tra lre boscaglie. Il piccolo agglomerato che, in seguito, sorse in quella zona venne chiamato Buxale ad Belbum, vale a dire "luoghi che alimentano i bossi presso il Belbo". Il paese fu poi trasferito in collina e assunse il nome di Buxlacum. L'ultimo dei marchesi di Bossolasco, della famiglia dei Balestrino di Alberga, lasciò a ricordo del suo dominio il palazzone di mole quadrata che ancora oggi domina la piazza della chiesa. Oggi Bossolasco è conosciuto soprattutto per le passeggiate che propone alla scoperta della natura, come quella della "Lavanda" sul declivo del boschetto di conifere dello Squailetto o quella della "Torre del Cassino", romantica stradina attraverso castagneti ricchi di funghi, fontane e ruscielli. Definito "scudo e chiave del Piemonte", il paese di Murazzano si trova in una posizione davvero strtegica. La sua torre quadrata, che raggiunge i 33 metri di altezza, è la meglio conservata tra quelle che punteggiano le colline dell'Alta Langa. In periodo di scorrerie saracene, la torre aveva funzione di avvistamento e segnalazione. Ma questo antico borgo lega il suo nome a uno dei formaggi più famosi del Piemonte, il Murazzano. L'origine della più antica e prelibata tra le Robiole del Piemonte risale addirittura ai Celti: il termine "rubeola" indicava infatti il tipico colore rossiccio assunto dalla crosta del formaggio quando la stagionatura veniva prolungata nel tempo. Nelle Langhe il Murazzano è l'emblema di una tradizione contadina radicata che vede nella robiola una fonte essenziale di sostentamento, frutto del duro lavoro della terra. Non ci si deve stupire pertanto se le sue origini sono ammantate di leggenda. Normalmente il Murazzano viene consumato alla fine del pasto, in solitudine o abbinato ad altri formaggi piemontesi ma è strepitoso se degustato con pepe e olio extravergine di oliva. Per i vini non ci si deve allontanare da quelli delle Langhe. Notevole l'abbinamento con il Barbera d'Alba.



Con i suoi 896 metri sul livello del mare, Mombarcaro è il punto più alto delle Langhe. Nei suoi dintorni meritano una passeggiata la chiesa sconsacrata di San Rocco, piccolo edificio in pietra definito da Fenoglio "una più nera nave ormeggiata sulla nera cresta del nulla" e la pittoresca borgata di Cadilù, epicentro del breve e sarcastico racconto "Pioggia e la sposa", sempre di Fenoglio. Monbarcaro deriva il suo nome dal latino mons, che significa "monte" e barcari, barbarizzato da barche, il monte da cui sorgevano velieri e grosse barche. Un nome emblematico per quella che viene definita "la vetta delle Langhe". Da qui, infatti, lo sguardo può spaziare dalle cime delle Alpi Marittime alle nevi perenni del Monte Rosa e si dice che, nelle giornate particolarmente limpide, sia possibile scorgere il luccichio delle onde del mare di Liguria. I dintorni di Monbarcaro stupiscono: la campagna è punteggiata da piccoli borghi, spesso costituiti da poche case in pietra lungo la strada.



A ridosso della Valle Bormida e dall'Alta Valle Belbo, si trova Camerana, una serie di borgata adagiate su un'ampia conca del fondovalle lungo la Bormida. Tra i rigogliosi boschi della Selva Pallarea e del Foresto, il pianoro si protende verso la Valle Belvo fino al capoluogo, il borgo la Villa, annunciato dallo svettare dell'antica torre che si erge ancora in piedi a dispetto del passare dei secoli. L'antico maniero, di cui oggi restano solo le mura e le fondamenta, risale al X secolo: in un documento del 967 si fa menzione di un piccolo appostamento difensivo.La posizione era strategica, a cavallo delle maggiori vie di comunicazione che collegavano l'entroterra piemontese con la riviera ligure, la cosiddetta "via del sale". In seguito, la fortificazione fu trasformata in un castello. Demolito il maniero nel 1937, si salvò solamente la torre. Ma questo avvenne solo per il fatto che nessuno sapeva come abbatterla. Dalla sua sommità si gode la vista del borgo di Villa e si può osservare l'intera Valle Bormida. Anche qui, come in molti altri luoghi di questo itinerario ideale, è la natura a farla da padrona: la Riserva Naturale delle Sorgenti del Belbo è una zono incontaminata, perfetta per passeggiate a cavallo o escursioni. Nelle Langhe sono molti i frutti spontanei che la natura offre all'uomo: noci e castagne con il loro alto valore energetico sono ingredienti di base di numerose ricette tipiche della cucina langarola. Le piante e le erbe aromatiche sono spesso utilizzate per cucinare: l'ortica, ad esempio, viene usata come ripieno per gli agnolotti, mentre la malva è conosciuta per le sue proprietà sedative. Ve ne sono alcune però che sono soggette a protezione assoluta: stiamo parlando di circa 70 specie di piante di cui è assolutamente vietata la raccolta nel territorio di Langhe e Roero, tra cui spiccano 43 varietà di orchidee, circa la metà del patrimonio italiano.

Richard Gere ha detto...

I SENTIERI DEL GUSTO





Un viaggio nel gusto e con gusto, alla ricerca dei prodotti locali e dei saperi antichi che tecnicamente ancora vivono nel nostro territorio. Non troverete solamente punti vendita di prodotti tipici ma incontrerete persone vere, produttori che quotidianamente, con schietta sincerità, si confrontano con le loro stesse radici, mantenendo, con fatica e pazienza, in vita le produzioni locali secondo la tradizione. Saranno loro ad introdurvi in questo itinerario: condivideranno con voi i piccoli riti che si celano dietro la bontà e l'esclusività dei nostri prodotti e delle nostre materie prime, ed è solo l'inizio.



Ora che avete conosciuto le origini, che il vostro legame con il territorio è profondo e che il vostro approccio con i prodotti è più che mai consapevole il vostro viaggio "nel gusto" comincia davvero a diventare "con gusto". Potete assaporare con lentezza, senza fretta, tutto il sapore di un mondo fatto di gesti sapienti e di tradizioni tramandate da generazioni. Per riacutizzare tatto, gusto, olfatto vi attendono esperti operatori che, attraverso degustazioni ed abbinamenti guidati tra cibi e vini, sapranno farvi conoscere le sfumature, gli aromi ed i sapori che si fondono nei nostri 8 prodotti riconosciuti come presidi Slow Food (il Filetto baciato di Ponzone, la fragola profumata di Tortona, il Montebore (formaggio strappato all'oblio dalla memoria grazie ad un accurato recupero della tradizione produttiva), il Moscato Passivo della Valle Bagnario di Strevi, la Testa in Cassetta di Gavi, la Mela Carla della Val Borbera e la Robiola di Roccaverano, le 37 produzioni di vini insignite di riconoscimenti D.O.C. o D.O.C.G., custodite e valorizzate delle 2 Enoteche Regionali, di Acqui Terme e Vignale Monferrato, e dalla Bottega del Vino di Rocca Grimalda; oltre a numerosi altri prodotti che la nostra cucina tradizionale utilizza abitualmente, dai funghi ai tartufi, dai salumi agli ortaggi.



Dopo aver conosciuto e gustato i nostri prodotti, ci avviciniamo al termine del nostro sentiero del gusto, potremmo chiedervi di sedervi ad un tavolo per provare di persona l'ospitalità e l'accoglienza dei nostri ristoratori, o riscoprire il senso della convivialità, o ancora assaporare i piatti preparati con cura che vedeno riuniti ed elaborati gli ormai ben noti prodotti. Invece, prima di tutto ciò vi offriamo un'ulteriore opportunità: entrate nelle cucine dei professionisti del gusto e fatevi condurre attraverso le preparazioni dei piatti tradizionali della nostra provincia e rubate i trucchi del mestiere. Sono numerosi e dislocati su tutto il territorio i ristoranti e gli agriturismo che hanno accettato con entusiasmo di ospitare dei piccoli corsi di cucina in cui, su richiesta, è possibile imparare una delle ricette proposte dal ricettario tipico che, insieme al grembiule, viene donato ai partecipanti. In questi locali, contrassegnati dalla dicitura "Conosci, gusta, prepara", vi potrete regalare un'esperienza unica, tra profumi ad aromi che caratterizzano ogni fase di realizzazione di una ricetta, oltre alla possibilità di essere per un giorno voi stessi gli chef di uno dei piatti che gusterete, non prima però di aver ritirato il vostro diploma di cuochi!

Richard Gere ha detto...

ALESSANDRIA

Le origini della città di Alessandria risalgono al 1168 quando attorno al castello di Rovereto, nella zona dove sorge la chiesa di Santa Maria di Castello, viene a formarsi il primo insediamento urbano di un certo rilievo.
In seguito la borgata fu accresciuta dall’arrivo di rifugiati provenienti da Milano a da Tortona; città che erano state conquistate dalle armate dell’imperatore Federico Barbarossa.
Venne a formarsi così una vera città cui fu dato il nome di Alessandria, in onore del papa Alessandro III promotore della Lega Lombarda ed oppositore delle mire espansionistiche del Barbarossa.
Gli abitanti proclamarono dunque la propria autonomia verso l’imperatore, che rispose subito con le armi; infatti il 29 ottobre 1174 un corpo d’armata del Barbarossa si presentò sotto le mura cittadine per intimare la loro resa..
Assalti frontali, scalate alle mura, colpi d’ariete, scavi sotterranei, false promesse e scherni (“Alessandria della Paglia” per via dei tetti fatti poveramente con paglia di frumento), tutto fu tentato contro la città giunta ormai allo stremo delle forze.
Poi, fortunatamente iniziarono forti piogge che fecero straripare il Tanaro e la Bormida, inondando le campagne circostanti e trasformandole in un pantano, ostacolando cos’ i movimenti degli assedianti.
Seguì anche un inverno eccezionalmente rigido e siccome nei dintorni non vi era più nulla da razziare questo provocò tra le forze nemiche molte controversie e defezioni; Barbarossa si vide così costretto al ritiro, dirigendosi verso l’amica città di Pavia.
Purtroppo l’iniziale solidarietà sociale lasciò il posto a lotte intestine, per cui Alessandria cadde successivamente sotto il potere degli Angioini, dei Marchesi di Monferrato, dei Visconti, degli Sforza e per oltre un secolo e mezzo degli spagnoli.
Nel 1707 entrò a fare parte dei domini sabaudi ed in questo periodo furono erette le imponenti fortificazioni che caratterizzarono la città.
Il 14 giugno 1800 gli eserciti francesi e quelli austriaci si scontrarono a Marengo, per disputarsi il controllo dell’Italia settentrionale; qui il genio di Napoleone e l’eroismo del generale Dessaix ottennero una delle più brillanti vittorie della storia, sottraendo così anche Alessandria al dominio austriaco.
Alla caduta di Napoleone questa parte d’Italia tornò ai Savoia divenendo parte del Regno di Sardegna, da allora la città condivise le sofferenze e le aspirazioni dei patrioti italiani; in essa il 10 marzo 1821 Santorre di Santarosa sventolò il tricolore italiano e, nel 1833 essendo stata scoperta una cospirazione della “Giovine Italia” vi fu fucilato Andrea Vochieri.
Con l’aiuto giunto dai patrioti di ogni regione d’Italia, Alessandria durante le guerre per l’indipendenza fu munita di cento cannoni, ancor oggi ricordati dall’omonimo corso.
Nel 1921 per frenare le lotte dei braccianti, scesero in campo le prime squadracce fasciste, finanziate dai latifondisti che vedevano minacciato il proprio potere.
In queste fasi i braccianti giunsero a far morire il bestiame nelle stalle, squadre armate picchiarono braccianti isolati, incendiarono fienili e casolari.
Il 22 agosto 1922 venne bruciata la sede della Camera di Lavoro e rappresentanti socialisti e di altri partiti furono imprigionati; iniziò così il periodo della lotta clandestina che portò poi alla Resistenza antifascista.